Lavorare nell'ambito della ricerca scientifica oggi in Italia significa molte cose.

In primo luogo vocazione, passione: dedicare buona parte della propria vita al “progredire”, anche di un millimetro, perché all'interno di quello spazio apparentemente insignificante si potrebbe racchiudere un universo di salvezza per tante, tantissime persone.

Essere ricercatore, oggi, in Italia, significa avere innato quel pizzico di sana follia e buona testardaggine che consentono di superare le molte difficoltà che si nascondono dentro questo campo: dal lungo precariato ai lavori che non vengono accettati alla frequente mancanza di fondi. È per questo indispensabile, per una persona che decide di approcciarsi al mondo della ricerca scientifica, avere una preparazione più che solida dal punto di vista umano e professionale, e uno stage all’estero è sicuramente d’aiuto in entrambi i sensi.

Abbiamo approfondito questa tematica con Donatella Del Bufalo, Dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena.

 

Ciao Donatella, cominciamo con le presentazioni… di cosa ti occupi?

Sono una ricercatrice che da sempre, cioè da circa 30 anni, si occupa di ricerca preclinica in campo oncologico.

 

Nella tua vita di ricercatrice, hai svolto periodi all’estero?

Ho svolto la mia esperienza di formazione all’estero a 29 anni a Frédérick, un piccolissimo paesino situato nel Mariland, negli Stati Uniti, a circa una ora di distanza da Washington.

È un’esperienza che ti ha arricchita umanamente e professionalmente?

Certamente. Dal punto di vista professionale ho avuto modo di apprendere tecniche non utilizzate nel laboratorio italiano dal quale provenivo e ho dovuto imparare a gestire un progetto di ricerca in maniera autonoma, risolvendo questioni di ogni genere indipendentemente dall’aiuto degli altri.  In Italia, all’epoca della mia partenza per gli USA, c’era la tendenza ad aiutare il giovane ricercatore nella conduzione del proprio progetto di ricerca e nella soluzione di possibili problemi incontrati, cosa piuttosto difficile negli Stati Uniti.

Il primo scoglio da superare sono state le difficoltà linguistiche, ma negli anni successivi aver acquisito competenze in tal senso si è rivelato fondamentale.

Ricordo poi con immenso piacere il mio periodo di vita all’estero anche per molti altri motivi: è stata la mia prima esperienza di vita autonoma sia dal punto di vista economico che di convivenza… forse un po’ tardi ma ha avuto i suoi vantaggi! Ho arricchito il mio bagaglio culturale perché ho avuto l'opportunità di visitare paesi e culture a me sconosciuti e frequentare persone con abitudini ben lontane da quelle del mio paese di provenienza. Ho conosciuto persone con le quali a distanza di tanti anni intrattengo ancora un rapporto di amicizia. Le relazioni umane in situazioni di distanza assumono sicuramente un valore più forte. Ma ho anche avuto modo di apprezzare l’importanza ed il valore delle relazioni con persone lasciate nel paese di origine. Ho capito che, nonostante il mio spirito di libertà, non avrei mai potuto vivere per tutta le vita in un paese diverso dall’Italia, lontano dalla mia famiglia e dalle mie amicizie.

 

Potessi tornare indietro cambieresti qualcosa di questa esperienza?

Forse deciderei di partire prima, scegliendo un momento della mia vita personale in cui la mancanza di un forte legame sentimentale non mi avrebbe spinto a tornare nel paese di origine.
Ripeterei poi l’esperienza  per un periodo più lungo: un anno di esperienza in un laboratorio straniero non è abbastanza per poter portare a casa i frutti desiderati. Adattarsi in un nuovo paese, ad una nuova lingua ed entrare nel vivo di un progetto di ricerca richiede sicuramente un periodo maggiore, di almeno due o tre anni. Un arco di tempo inferiore è sufficiente solo nel caso in cui ci si rechi all’estero con lo scopo ben preciso di “rispondere ad un quesito specifico” del proprio progetto di ricerca.

  

Nel campo della ricerca, secondo la tua esperienza, quali sono le abilità principali che un periodo di formazione all’estero ti fornisce?

Innanzitutto la capacità di affrontare e risolvere in maniera autonoma le difficoltà in ambito lavorativo ma anche nella gestione della vita quotidiana in un contesto totalmente diverso e “lontano” da quello nel quale si è abituati a vivere. Inoltre, è importantissimo avere la conoscenza della lingua straniera, nel mio caso della lingua inglese, fondamentale nel mio ambito lavorativo. All’epoca della miei studi pre-universitari non si dava molta importanza allo studio delle lingue straniere  e spesso non si aveva l’opportunità di imparare la lingua “sul campo”.

 

Quali sono le caratteristiche che una risorsa junior deve avere per lavorare nel tuo settore?

Molte sono le caratteristiche che un giovane deve assolutamente avere per lavorare nel campo della ricerca scientifica. Innanzitutto determinazione ma anche buona volontà, capacità critica, predisposizione al lavoro di squadra e al sacrificio. Per poter portare a termine un progetto di ricerca è richiesto tanto studio perché l’aggiornamento costante non deve mancare, si deve essere muniti di capacità critica perché gli insuccessi sono molti e solo con una dettagliata analisi critica e autocritica possono essere superati. Infine, ritengo che nessun ricercatore sia un bravo ricercatore se non sa fare gruppo e se non sa condividere le proprie ricerche: il confronto costante deve entrare a far parte della vita quotidiana del ricercatore.

 

In quale paese europeo consiglieresti a una giovane ricercatrice o a un giovane ricercatore di svolgere uno stage?

Anche se la mia formazione è avvenuta al di fuori dell’Europa, ritengo che siano diversi i paese europei in cui si possa fare ricerca scientifica di ottima qualità. Tra questi la Germania, l’Olanda, la Francia, la Spagna. Va però considerato anche l’alto livello della qualità di molti laboratori situati in Inghilterra e in Israele.

 

Quali sono le soft skills che in genere presenta un candidato che ha svolto periodi di formazione all’estero?

Il ragazzo che ha svolto un periodo all’estero in genere è molto “smart”, presenta meno timori nei confronti delle difficoltà e ha molta determinazione e voglia di  “strafare”!

 

Qual è il consiglio che daresti a un giovane che vuole cominciare a lavorare nel tuo campo?

Bisogna avere molta determinazione perché il percorso potrebbe essere “ad ostacoli”. Purtroppo la ricerca in campo scientifico in Italia presenta molte difficoltà che vanno dal reperimento di finanziamenti per poter condurre un progetto di ricerca, alla pubblicazione dei risultati ottenuti passando attraverso un lungo periodo di precariato.

 

Chiudiamo con una domanda leggera per salutarci… qual è l’oggetto che non manca mai nella tua valigia quando viaggi per lavoro?

Libro di lettura per il viaggio e per i momenti di relax... se ce ne sono!