Fare esperienza all’estero diviene un percorso quasi obbligato per chi intende intraprendere la professione di traduttore. Uno stage in un ambiente internazionale che si traduce in un'opportunità di lavoro rappresenta la conclusione ideale di un percorso al di fuori dei confini nazionali intrapreso già in giovanissima età. Ma un'esperienza di questo tipo ti arricchisce non solo dal punto di vista professionale..

Ce lo racconta Mattia L'Abbate, traduttore al Parlamento europeo.

 

Ciao Mattia, ci racconti di cosa ti occupi?

Lavoro come traduttore all'interno dell'Unità di traduzione italiana del Parlamento europeo, a Lussemburgo. Mi occupo di tradurre varie tipologie di testi legati all'attività del Parlamento europeo. Oltre ai documenti di natura legislativa, ci occupiamo anche di tradurre in italiano testi improntati alla comunicazione interna e alla comunicazione con i cittadini dell'UE (ad esempio, a ridosso delle elezioni europee, materiale informativo per sensibilizzare i cittadini all'importanza dell'appuntamento elettorale). Personalmente traduco dall'inglese, dal francese, dallo spagnolo e dal portoghese (sto seguendo anche un corso di rumeno per aggiungerlo come ulteriore lingua di lavoro), ma quasi ogni collega presenta una combinazione linguistica differente e questo ci consente di coprire più esigenze linguistiche. Oltre all'attività ordinaria di traduzione, mi occupo di selezionare e seguire i tirocinanti italiani che desiderino svolgere un periodo di stage da noi. I tirocini hanno una durata di cinque mesi e per ciascun periodo vengono selezionate due persone tra le centinaia di richieste che riceviamo. I tirocinanti hanno la possibilità di maturare un'esperienza di lavoro concreta nell'ambito della traduzione e partecipano a numerose attività informative e formative organizzate dal servizio orizzontale che si occupa dei tirocini. Un aspetto importante dello stage è la possibilità di incontrare altri tirocinanti provenienti da tutti i 27 paesi dell'Unione europea e di vivere con loro esperienze molto interessati come le missioni a Bruxelles e Strasburgo (in tempi di pre – e speriamo anche di post-pandemia).

 

Già durante la tua formazione, hai svolto diversi periodi all’estero… quanto hanno inciso sul tuo percorso professionale e personale?

Le esperienze che ho maturato all'estero sono il motivo per cui oggi faccio quello che faccio. Dapprima l'anno di scambio negli Stati Uniti durante le superiori, che mi ha catapultato in una realtà completamente nuova e diversa a 17 anni, in un'epoca in cui non esistevano gli smartphone e fare videochiamate non era un'esperienza così agevole. È in questo periodo che ho sviluppato l'interesse per l'altro e, di conseguenza, per le lingue straniere. Scegliere di studiare traduzione è stato un naturale proseguimento di questo percorso. L'esperienza dell'Erasmus durante l'università mi ha invece permesso di raffrontarmi a una comunità internazionale di giovani spinti dagli stessi interessi e dalla voglia di dimenticare i confini nazionali per esplorare e sperimentare appieno cosa significhi potersi sentire cittadino internazionale. Infine, la laurea specialistica conseguita a Ginevra è stata la chiosa del mio percorso accademico e un momento altamente professionalizzante, oltre che un'esperienza di vita all'estero in un'età già più matura, dove ho iniziato a dover conciliare studio e lavoro. Tra l'altro, è stato proprio durante questo periodo che ho avuto l'opportunità di svolgere un periodo di tirocinio presso l'Unità italiana della Direzione generale della Traduzione del Parlamento europeo. Questa esperienza è stata fondamentale, in quanto è sfociata, poco tempo dopo, nel mio primo contratto di sei mesi a copertura di un congedo di maternità – contratto poi rinnovato più volte – fino a quando, nel 2018, ho finalmente ottenuto un riscontro positivo in un concorso pubblico.

 

C’è un periodo particolare in cui secondo te è ottimale svolgere un periodo di studio o di tirocinio fuori? Quanto ritieni debba durare un’esperienza all’estero perché comporti una crescita?

Avendo trascorso periodi all'estero in diverse fasi della mia vita, posso senza alcuna ombra di dubbio affermare che il momento migliore è: il prima possibile! Ad oggi l'esperienza più significativa e di maggiore impatto rimane quella negli Stati Uniti. Perché ero fisicamente molto lontano da casa. Perché avevo 17 anni, e poco sapevo del mondo, e quindi ero ancora più curioso, impressionabile e avido di scoprire cose nuove. Ma anche perché è stato il periodo più lungo che abbia trascorso continuativamente all'estero, e questo sicuramente è un aspetto fondamentale. Le esperienze all'estero di durata inferiore ai 9-10 mesi non producono, a mio avviso, effetti abbastanza duraturi nel tempo. Poi molto dipende dalle condizioni in cui si svolge un periodo all'estero: immergersi completamente nella realtà locale, senza avere troppi e continui contatti con connazionali, con la propria famiglia o con i propri amici sicuramente aiuta a compiere il passo necessario per scavalcare il muro invisibile dell'estraneità e iniziare a confondersi tra la folla. Trascorrendo invece anche 12 mesi in un altro paese ma frequentando solo una nicchia di persone composta da persone della propria nazionalità, passando le giornate a scrivere su Whatsapp, Facebook e quant'altro con i propri amici di sempre e trascorrendo interminabili ore al telefono con mamma e papà, sicuramente l'effetto catartico risulterà molto meno significativo.

  

Si parla molto di soft skills…quali sono quelle che hai acquisito nelle tue esperienze all’estero e quali di queste sono tutt’ora fondamentali nella tua quotidianità lavorativa?

Comunicazione e autocritica. La prima perché è fondamentale per rapportarsi con colleghi, superiori, clienti, ecc. Saper comunicare bene e in maniera efficace può fare la differenza in moltissime circostanze. Un'email scritta in modo troppo brusco potrebbe non essere accolta positivamente dalla persona alla quale hai appena chiesto un favore. Una domanda indiscreta in sede di colloquio potrebbe significare il passaggio alla lista degli esclusi. La seconda perché non ci sarebbe crescita altrimenti. "Autocritica" non vuol dire essere troppo inclementi con sé stessi e con il proprio lavoro, ma vuol dire mettersi in gioco, non dare nulla per scontato ed essere sempre aperti alla possibilità che quello che stiamo facendo potrebbe essere fatto meglio, o semplicemente in un modo diverso.

 

Quali sono le caratteristiche che una risorsa junior deve avere per lavorare nel tuo settore?

Una conoscenza consolidata delle lingue straniere di studio, un livello maniacale di attenzione per i dettagli e la sensibilità necessaria per operare buone scelte traduttive, rispettando i colleghi e tutte le persone che intervengono nella catena del lavoro e al tempo stesso apportando energie e idee nuove. È indubbio poi che serva anche un forte interesse per le questioni europee e un amore sconfinato per la lingua italiana.

 

Quali sono i paesi europei nei quali consiglieresti di svolgere un periodo di formazione perché all’avanguardia per la tua professione?

È difficile selezionare solo alcuni paesi perché esistono validissime scuole di traduzione in tutta Europa (Spagna, Francia, Germania, Svizzera, Austria, ecc). L'importante è informarsi sull'Università specifica presso la quale si vuole svolgere il periodo di formazione.

 

Che consigli daresti a un giovane che sogna di lavorare in un’istituzione europea?

Sii tenace. L'ampliamento del progetto europeo ha da un lato prodotto come risultato diretto un forte interesse da parte dei cittadini a voler prendere parte alla struttura istituzionale che rende possibile la convivenza di 500 milioni di cittadini. Allo stesso tempo, ciò significa una maggiore concorrenza nell'approcciarsi ai concorsi pubblici. Se non va bene al primo tentativo, potrebbe andare bene al secondo, al terzo, al quarto o al quindicesimo. Non demordere!

 

Chiudiamo con una domanda leggera per salutarci… qual è l’oggetto che non manca mai nella tua valigia quando viaggi per lavoro?

In realtà non viaggio per lavoro. Ma viaggio molto per passione e una cosa che non manca mai è una macchina fotografica, o più di una. Lo so, i telefoni cellulari fanno foto spettacolari ormai, ma il fascino della "macchinetta" fisica, per me, non ha eguali.

 

Grazie per il tempo che ci hai dedicato!