Lo stage, “un’esperienza attiva” che ti arricchisce giorno dopo giorno, ti stimola a diventare “artefice delle tue scelte” in ambito personale, sociale e professionale. Così vede il tirocinio Emanuela Andria, oggi docente di spagnolo presso una scuola secondaria statale di primo grado, innamorata della propria professione, convinta che “conoscere lingue diverse apre la mente”. Non si tratta solo di “imparare a parlare”: una lingua è una porta dischiusa su una cultura nuova, un accesso privilegiato a una porzione di mondo. Oggi ne è consapevole, ma per scoprirlo anche lei ha dovuto preparare i bagagli e partire!
Ecco cosa ci ha raccontato.
Buongiorno Emanuela e grazie di condividere con noi la sua esperienza all’estero. Può dirci quando ha svolto il tirocinio, prima o dopo l’università?
Buongiorno – ci dice con un sorriso accogliente che ci mette subito a nostro agio. Dunque, parliamo di diverso tempo fa. La mia esperienza, la prima, ma devo dire che non ho mai smesso di viaggiare, risale al 2004. Ho avuto la possibilità di partecipare a un progetto Leonardo dopo essermi laureata.
In quale Paese e di cosa si occupava? Ci può descrivere la sua esperienza?
Sono stata circa tre mesi a Barcellona. Sinceramente non ricordo il nome della struttura, ma si occupava di assistenza sociale ai minori abbandonati. Devo dire che è stata un’esperienza umanamente impegnativa ma coinvolgente. Si trattava di bambini dagli 8 ai 13 anni; avevamo il compito di seguirli nel doposcuola e di organizzare le attività ludiche, aiutandoli nel processo di socializzazione.
Perché ha deciso di fare questa esperienza?
Be', mi ero appena laureata in lingue e volevo fare pratica con lo spagnolo… ero giovane e desideravo provare qualche esperienza fuori prima di dedicarmi al lavoro.
Ripensando a quel periodo, quali sono stati gli aspetti migliori? Ha riscontrato delle difficoltà durante il percorso?
Per me è stata un’esperienza formativa in termini di autonomia, indipendenza – ai tempi vivevo ancora con i miei – e spirito di adattamento. Ammicca un sorriso e precisa: abitavo in una casa con una signora anziana che mi ospitava, condividevo la stanza con una mia collega di università, mentre in un’altra c’era un ragazzo lavoratore… ovviamente il bagno era solo uno… ma proprio questa situazione mi ha permesso di comprendere che nella vita non ci sono solo agi e comodità. Una grande lezione! Da ragazzi diamo molte cose per scontate! Mi ha spronato ad adattarmi e, devo dire, che è bello quando uno riesce a superare i propri limiti, o quelle situazioni che vengono percepite come tali… Ma anche l’aver conosciuto moltissime persone provenienti da diversi Paesi d’Europa è stato importante: ho avuto la possibilità di arricchire il mio bagaglio culturale, visto l’ambiente multiculturale in cui ho lavorato.
Certo, difficoltà ne ho riscontrate. A parte l’utenza – parliamo di ragazzi fragili, con problemi psicologici e sociali – devo dire che anche il rapporto con i coordinatori a volte non è stato facile. Molto freddi, rigidi, non tenevano conto che eravamo stranieri: a volte parlavano in catalano, che noi non avevamo studiato. Però, anche questo è stato stimolante per il processo di crescita!
Pensa che le competenze professionali e le soft skills che ha acquisito durante lo stage le siano servite per entrare nel mondo del lavoro?
Sicuramente questa esperienza mi è stata utile dal punto di vista linguistico, ma in termini di carriera non mi è servita come punteggio. Per insegnare ho dovuto frequentare una scuola di specializzazione. Comunque, riflettendo, anche in questo senso ha rappresentato un valore aggiunto. perché mi ha permesso di conoscere gli aspetti tradizionali, culturali della Spagna, avendo l’opportunità di viverli fisicamente e praticamente… queste cose non si imparano all’università. Si è trattato di conoscenza aggiunte che mi hanno aiutato a superare il famoso test di accesso alla scuola di specializzazione. Sul piano delle competenze trasversali, come ho già detto, è stata un’esperienza significativa. Non solo in termini di adattamento e responsabilizzazione, ma anche sul piano organizzativo, gestionale (avevo una paghetta che dovevo amministrare per arrivare alla fine del mese), comunicativo e relazionale… senza contare l’approccio al lavoro di squadra! Ogni sera ci riunivamo con i coordinatori, condividevamo cosa avevamo fatto con i ragazzi, tracciavamo e valutavamo le impressioni del giorno, il loro atteggiamento e comportamento e, anche per l’aspetto linguistico ci confrontavamo sulle modalità di approccio, perché era fondamentale “saper comunicare” in lingua straniera con questi ragazzi, molto fragili.
Il tirocinio ha influito sulle sue scelte professionali? Se sì, come?
Ero già proiettata all’insegnamento, però avendo acquisto competenza linguistica e maggiore sicurezza, mi ha permesso di essere pronta ad entrare in una classe e parlare con i ragazzi in lingua straniera. A pensarci bene, oggi insegno a adolescenti dai 10 ai 13 anni. Un’età non molto diversa da quella dei ragazzi incontrati in Spagna, anche se con condizioni familiari e sociali ben distinte.
Secondo lei, per svolgere la sua professione, fare un tirocinio all’estero è importante?
È di primaria importanza! Anzi occorrerebbe fare esperienze all’estero ogni anno e formarsi sempre – io sono per il life long learning - soprattutto per chi insegna una lingua straniera. Lo dico e lo faccio: nel 2008 sono stata a Granada per un corso Erasmus di 14 giorni; ogni anno, in estate, vado all’estero per una settimana come “allenamento linguistico”; ho accompagnato in Spagna e in Inghilterra i ragazzi nell’ambito del Programma Erasmus. Ho una voglia continua di viaggiare, e ogni volta che lo faccio torno sempre più motivata e carica.
Cosa consiglierebbe a chi è in procinto di svolgere un tirocinio all’estero?
Di aprire la mente; di lasciare andare il freno a mano e distaccarsi dagli affetti che a volte ci tengono legati e non ci consentono di proiettarci verso nuove opportunità.
Grazie Emanuela per il tempo che ci hai dedicato!